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Taco Tuesday: Muggsy Bogues

Immagine del redattore: Eugeni MarcoEugeni Marco

Se giochi in NBA solitamente gli altri ti guardano e chiedono "Ma quanto sei alto?". Questo succedeva durante gli anni '90 anche a Muggsy Bogues, ma per il motivo opposto, a causa della sua stazza minuta, appena 160 centrimentri. Nato in una cittadina non proprio tranquilla vicino Baltimora, come altri ragazzi poi approdati in NBA, lo sport lo aiutò a restare lontano dalla strada, ma era solo un passatempo secondo la gente e non un qualcosa su cui puntare, uno così basso non poteva giocare a basket.

Fin da subito qualunque addetto ai lavori era stato scettico sulle sue possibilità di poter giocare a pallacanestro, anche dopo che alla high school, in 2 anni, fece registrare con la sua squadra un record di 60-0. In seguito al college si accasò a Wake Forest.  Il primo anno giocò pochissimo, e spesso venne anche schernito da compagni e pubblico per la sua altezza, ma al suo secondo anno riuscì a far registrare una media di 11,4 punti e 8,3 assist a partita in 38 minuti, mentre nel suo anno da senior fece ancora meglio, 14,8 punti e 9,5 assist. Questo gli valse la chiamata al Draft NBA del 1987 con la 12° scelta da parte dei Washington Bullets.

Il primo anno non andò benissimo, ma diventò comunque un'attrazione a livello nazionale, perché nei Bullets giocava anche Manute Bol, il giocatore più alto in NBA, ben 231 centimetri. Tra i 2 c'era una differenza di 71 centimetri di altezza. Nel 1997 finì addirittura nel cast di "Space Jam". Al suo anno da sophomore invece si fece notare per  le abilità in campo, soprattutto grazie al cosiddetto "expansion draft", che viene fatto quando nascono nuove franchigie. Cambiò così squadra e venne scelto dagli Charlotte Hornets. Qui ha inizio la favola.

In 10 anni realizzò più di 5000 assist e 1000 rubate, detiene il record per più minuti giocati con la franchigia e in carriera ha all'attivo addirittura 39 stoppate, di cui una su un certo Patrick Ewing, circa 50 centimetri più alto di lui. Insieme ad altri suoi compagni a Charlotte, come Alonzo Mourning e Larry Johnson, fu una costante ai play-off e rese la franchigia una delle più popolari negli States. Dotato di velocità, leadership e visione di gioco, riuscì a ritagliarsi il proprio spazio in un ambiente nel quale pochi con la sua stazza ce l'avrebbero fatta. E' riuscito in una delle più grandi imprese della pallacanestro, modellare il gioco in base alle sue esigenze, mentre altri, prima e dopo di lui, hanno tentato di adattarsi, finendo per capitolare. 

Una storia che all'apparenza può sembrare simile a molte altre ma che non lo è. Muggsy fu discriminato per la sua altezza e non per il colore della pelle, in un ambiente come il basket nel quale il problema della razza, almeno negli ultimi anni, non esiste, data la maggioranza di giocatori di pelle scura. Dovette affrontare i paradigmi del basket stesso, i dogmi che lo vedevano come un fallimento certo, divenne il baluardo di un qualcosa che negli anni successivi si è fatto ancora più insistente. Giocare a basket è possibile anche se non sei un cyborg di 2 metri per 120 chilogrammi, la fisicità spropositata può essere battuta dalla tecnica sopraffina, la mente arriverà sempre più lontana delle tue gambe e delle tue braccia.

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