La parte finale della stagione di Formula 1 ci ha insegnato che il motorsport, per quanto ormai abbia raggiunto livelli di sicurezza inimmaginabili fino a pochi anni fa, resta comunque un mondo pericoloso dove ogni curva rappresenta un'incertezza per ogni pilota. Grosjean è uscito vivo dall'inferno (letteralmente, ndr.) ma è stato un miracolo reso possibile dai mille accessori di sicurezza che compongono una monoposto e dalla velocità di reazione del pilota francese.
Basta tornare indietro di pochi anni invece per ritrovare ben due pagine buie di questo affascinante mondo, quando ci lasciarono due giovani campioni come Jules Bianchi e Antoine Hubert. Al tempo di queste tragedie però, i miei occhi di appassionato di motori erano già stati colpiti in precedenza. A differenza di un virus, verso il quale il tuo corpo crea degli anticorpi, a queste vicende è impossibile abituarsi. É innegabile però che la prima esperienza rimanga più impressa delle altre e che lasci segni indelebili nel nostro modo di approcciarci a questo sport, soprattutto se si assiste ad una cosa del genere da giovanissimi.
Nel giorno in cui avrebbe compiuto 34 anni è giusto dedicare qualche riga a Marco Simoncelli, un pilota che mi ha conquistato dalla prima volta che lo vidi scendere in pista fino alla sua ultima curva, in quella fredda e triste mattinata di Sepang il 23 ottobre del 2011.
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Se come per tutti i nati negli anni '90, il mio approccio ai motori è passato attraverso due figure cardine imprescindibili per ogni appassionato, Micheal Schumacher e Valentino Rossi, mentre per la Formula 1 è bastato il suo fascino per rimanerne perennemente innamorato, verso le moto ho vissuto fin da subito un rapporto altalenante, almeno fino al 2008.
La fine del dominio Rossi era ovvio che comportasse un leggero distacco per un ragazzino di dieci anni e poco più, apparentemente la mia passione per le moto sembrava finire li ma dal nulla la scintilla venne riaccesa da un folto riccio (non a caso, come il sottoscritto), in grado di volare sulle due ruote.
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Il motomondiale del 2008 è l'unico mondiale in cui mi concentrai di più alla classe intermedia che alla MotoGP, il Sic era una ventata di aria fresca incredibile, un giovane romagnolo con la sola missione di divertirsi vincendo (e facendo divertire). In poche gare si era trasformato nel mio pilota preferito e il suo approdo in MotoGP due anni dopo il titolo in 250 rappresentava il coronamento di una carriera fino a li quasi impeccabile.
Dopo una prima stagione di ambientamento, la seconda del Sic nella classe regina è stata un successo, soprattutto se pensiamo che guidava una Honda clienti con la quale riuscì a strappare due podi in un periodo di dominio incontrastato delle moto ufficiali. Il suo miglior risultato, il secondo posto in Australia, sembrava lanciarlo definitivamente verso la lotta per la vittoria ma il destino troppo beffardo e crudele fece capolino esattamente la gara dopo, nella grigia gara di Sepang.
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Il racconto di quella domenica è strettamente influenzato dalle mie emozioni di semplice tifoso di 14 anni, incredulo davanti a immagini troppo difficili da metabolizzare in quel tremendo secondo giro del Gran Premio della Malesia. Di tragedie nel motorsport ne avevo sentito parlare tantissimo, a partire dalla leggenda di Senna fino allo scioccante incidente di Lauda al Nürburgring, vederne una in diretta che coinvolge il tuo pilota preferito però è stato un'esperienza davvero paradossale.
Da quel giorno il disincanto verso la MotoGP è stato sempre più forte, complice una serie di fattori che forse sarebbero stati attenuati se il Sic avesse continuato a correre. Simoncelli, nonostante il prematuro addio, riuscì a conquistare il cuore di tutti gli appassionati di moto e non solo, in un modo diverso da gente come Rossi o Marquez ma non meno importante, forse in una maniera più umana rispetto ad altri campioni ed era questo che lo rendeva così speciale ai miei occhi.
Grazie per i tuoi anni vissuti sempre al massimo Sic, il mondo dello sport (e un tuo piccolo tifoso) non ti dimenticheranno mai.
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