Luna Park: Denominazione usuale dei parchi all’aperto con giostre, montagne russe, baracconi di tiro a segno, ruota panoramica, ecc. (Vocabolario Treccani, Ndr.). Luogo di divertimento, di giochi. La gente sorride, ma non tutta. Luna Park è anche il nome di un'arena di Buenos Aires situata all'angolo tra Avenida Corrientes e Avenida Bouchard, nel quartiere di San Nicolás, centro nevralgico dell'economia argentina. Prima del 1950 veniva utilizzata per gli incontri di boxe, e infatti questa è una storia di pugili a mani nude e palla a spicchi; poi divenne teatro di grandi uomini: Papa Giovanni Paolo II, per esempio. E infatti questa è una storia di grandi uomini. Fratelli di spirito, come spesso succede nelle storie slave. 'Once Brothers'; come li definiva uno straordinario documentario di Michael Tolajian.
Luna Park: luogo di divertimento secondo il vocabolario, ma anche teatro di uomini e bandiere e guerre, perché la gente sorride, ma non tutta. Il 19 Agosto 1990, con una partita e un gesto di stizza, cambia la storia della Jugoslavia e cambiano anche le vite di Vlade Divac e Drazen Petrovic.
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Il 1990 è un anno di grandi eventi sportivi e storici, di certo uno degli anni di punta nel secolo dello sport. Giochiamo in casa il mondiale di calcio e le nostre 'notti magiche' si concludono a Bari con il terzo posto contro l'Inghilterra di Platt e Totò Schillaci capocannoniere. Vince la Germania contro l'Argentina del Diez in una delle peggiori finali nella storia dei mondiali con un rigore dubbio di Brehme. E' l'8 Luglio e fa caldo a Roma, proprio come in Kosovo e in tutta la frangia dell'est Europa. Il dinaro jugoslavo è in forte perdita già da un anno e il governo (come spesso succede nei periodi di crisi) viene affidato a un tecnico; il 20 Gennaio viene convocato l'ultimo congresso della Lega dei Comunisti della Jugoslavia. Il nome ricorda un gruppo di supereroi ma le intenzioni sono molto meno nobili e il dibattito si conclude con uno scontro frontale tra i delegati serbi e sloveni. E' scissione e dell'eredità di Tito non rimane altro che un bieco ricordo, pagine di storie incollate l'una all'altra. In un clima tanto surreale, come spesso succede, non può che nascere una compagine sportiva di giovani forti e ribelli; pensiamo all'Italia dell'82 o all'Argentina delle Falkland. La Croazia che partecipa ai mondiali FIBA 1990 ha davvero uno squadrone. La formazione: Toni Kukoc, Zarko Paspalj (MVP delle finali con venti a referto), Velimir Parasovic e poi loro due: Vlade Divac e Drazen Petrovic; un gigante buono e un Mozart che quando tira strimpella un requiem. Non può essere una partita come le altre, anche perché contro c'è l'Unione Sovietica e questa è la rivincita dell'olimpiade 1988 a Seul. Divac e Petrovic sono per davvero due fratelli: stelle della Jugo, stelle della NBA: Vlade approda nella Los Angeles che conta affianco a Magic Johnson e Petrovic, dopo un inizio difficile a Portland - dove c'erano più guardie che punti per partita - esplode ai Nets. Durante le semifinale la Jugoslavia sconfigge gli Stati Uniti, e già questa è una notizia, con un parziale di +8 al termine del quarto quarto. Fuori dal campo i disordini continuano a maturare nella guerra etnica/civile che nel 1991 porterà la Slovenia a divenire Repubblica indipendente. Ma questa non è una partita come le altre e, soprattutto, non è una storia come le altre.
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L'Unione Sovietica spazza e maciulla Porto Rico e raggiunge il Luna Park di Buenos Aires, dove ci sono le montagne russe più pericolose della storia. Non c'è partita, ma forse non c'è mai stata dall'inizio. La Jugoslavia vince 92 a 75 e nell'ultimo quarto si veste addirittura a stelle e strisce per permettere a Drazen di firmare due no-look pass e a Vlade un altro paio di alley oop. Il paese è in festa e in fondo chi l'ha mai vista una nazionale del genere? In un qualsiasi racconto europeo tutto si concluderebbe con un abbraccio tra i fratelli, sono le stelle della squadra vincitrice e hanno conciliato migliaia di tifosi all'ascolto. Ma questa non é una storia europea, è una storia slava e quindi emblema di tragedia. 'Umirati u lepoti' (morire nella bellezza) come suggerisce spesso un noto ed eccelso narratore e nel 1990, in Jugoslavia, molta bellezza è deceduta. Proprio come quel giorno.
Cosa è successo? I due fratelli festeggiano alzando i pugni al cielo e il centro del campo viene invaso da un tifoso che sventola una bandiera con i colori panslavi, ma anziché la stella rossa, sbatte in faccia a tutti la Šahovnica, simbolo storico della Croazia e degli indipendentisti e nazionalisti. Il gigante , serbo d’origine, a differenza degli altri compagni si accorge subito dell'insulto poco velato alla Jugoslavia e senza pensarci su la strappa dalle mani del tifoso e con totale disprezzo la scaraventa sul parquet, per poi spintonare e passare alle maniere forti con il supporter croato. Un gesto eterno, inciso a fuoco, e sugli spalti la gente sorride, ma non tutta.
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I media croati, attenti sull'accaduto, iniziano una campagna diffamatoria nei confronti di Divac: anti-croato, nazionalista; insultano la sua famiglia e la sua origine, arrivano addirittura a mettere una taglia sulla sua testa. Intanto Petrović, croato d’origine, ferito dal gesto del fratello, stronca ogni legame con lui, rompendo uno dei sodalizi affettivi più duraturi e profondi nella storia dello sport mondiale. La eco del gesto raggiunge anche gli Europei di Roma 1991 e la guardia Jure Zdvoc, proprio quando Belgrado bombarda Lubiana sancendo lo spartiacque di una guerra civile sanguinaria e violenta. Ma c'è anche un'altra data, sempre d'Estate e fa sempre caldo: 7 giugno 1993. La Croazia è impegnata in Polonia, nelle qualificazioni ai prossimi campionati europei di basket, contro i padroni di casa. Dopo trenta a referto, Drazen decide di godersi il ritorno a Zagabria con la sua fidanzata Klara in macchina invece che in aereo. Petrovic sta dormendo e la futura moglie di Oliver Bierhoff azzarda una manovra complessa nei pressi di Denkendorf, ma fallisce. Il Mozart croato non si sveglierà mai più e la ferita insanabile con il fratello di spirito non verrà mai colmata, almeno dal vivo. Nessuna stretta di mano, solo tanto dolore, perché in ogni storia slava c'è sempre un martire, un paese che soffre e un finale da mettere i brividi. Il nostro è in un immagine. Durante i funerali di Drazen, trasmessi dalla TV di stato croata, i suoi compagni di nazionale trasportano la bara nello sconforto ma Vlade non c'è. Non può esserci, perché per colpa della guerra la Croazia è ancora un luogo di morte per un serbo. Ci tornerà nel 2010 - durante le riprese del documentario 'Once Brother' - proprio davanti alla tomba di Petrovic. Sorride, lo guarda come se fosse lì, accarezza il marmo ornato e lascia una foto che li ritrae abbracciati proprio dove tutto è iniziato: il mondiale 1990 in Argentina; poi alza gli occhi al cielo e fischietta qualcosa, un motivetto della vecchia Belgrado.
Intorno a lui la gente sorride, ma non tutta.
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