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Qualcuno crede ancora nell'Italia di rugby?

Immagine del redattore: Simone SpadaSimone Spada

Mancano due gare alla conclusione del Sei Nazioni 2021. L'Italia se la vedrà prima col Galles e poi con la Scozia. Quest'ultima nazionale, di solito, era quella alla nostra portata. Si aspettava questa partita con impazienza proprio per evitare il cucchiaio di legno. Ma da sei anni ormai non ci facciamo più caso. Da sei anni non vinciamo più una partita.


L'involuzione dell'Italrugby spiega bene la piega presa da questo sport (e tanti altri sport) in Italia. Poca progettazione, quella che c'è viene abbandonata dopo pochi mesi in ordine di una restaurazione. Scarso lavoro di comunicazione presso i giovani - mantengono solo le cittadine storicamente interessate; sufficiente il lavoro nel settore giovanile; mediocre il reperimento di fondi per la crescita del movimento; e poi c'è una sfiducia di fondo che nessuno sembra volersi levare di dosso. Come se tutti si fossero arresi all'idea della sconfitta.

«Non sono venuto ad allenare l’Italia tanto per partecipare, ma per fare la differenza» disse alla vigilia del Sei Nazioni il ct Franco Smith. Neppure lui è riuscito a fare la differenza. Ha provato a portare i ragazzi migliori dell'Under 20 ad un livello superiore, facendogli pagare lo scotto dell'inesperienza. Ha ragione quando dice che devono giocare le partite e pure perderle, se necessario. Ma devono anche imparare come si sta in altura, imparare come si vince. Solo che la domanda rimane quella: come si vince?


L'Italia non vede un successo al Sei Nazioni dal 2015 (in casa dal 2013). Sembra passata una eternità. Il nostro rugby ha bisogno di nuovi eroi che sostituiscano i Parisse, i Ghiraldini, i Bergamasco e Lo Cicero, ma evidentemente non ci sono. Ci sono altri ragazzi che hanno bisogno di prendere credibilità a livello internazionale e di essere condotti alla battaglia senza dover resettare il percorso ogni anno.


Ad aiutarci c'è sicuramente il contratto fino al 2023. Fino ad allora l'Italia continuerà a giocare il Sei Nazioni anche se dovesse perdere ogni partita di cento punti. E' la forza dell'attrazione turistica e non solo che Georgia e Romania (che ambiscono a quel posto) non hanno. Ecco perché ci sarebbe l'esigenza di fare un passo in avanti, a partire dalla federazione. Dalla testa in giù, prefigurare un percorso che entro due anni ci porti almeno una vittoria. Almeno una gioia, ché ormai non si sa neppure più com'è fatta.

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