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Nets or Nothing

Immagine del redattore: Luca BozLuca Boz

Dopo la chiusura della trade-deadline di giovedì le squadre NBA hanno ultimato il proprio mercato per quanto riguarda gli scambi, ora, fino al 9 aprile, ci sarà spazio solo per le firme tramite buyout. Il mercato ha rivoluzionato la geografia delle franchigie, la trade Harden è stato il vero e proprio botto visto che ha innalzato notevolmente il tasso tecnico dei Brooklyn Nets, già di per sé di tutto rispetto grazie alla presenza di un KD tirato a lucido e di un Kyrie Irving che, quando non è impiegato nella lotta alle politiche sociali si ricorda di essere un favoloso giocatore di pallacanestro.


Ciò che ha fatto storcere il naso (e qualcosa di più) a tutti gli appassionati della lega più spettacolare e spettacolosa del mondo è accaduto però in questi ultimi giorni: sulla tratta Brooklyn-LA c’è stato parecchio movimento. Nel roster di Steve Nash sono entrati Blake Griffin e LaMarcus Aldrige, colpi a cui i Los Angeles Lakers hanno risposto firmando Andre Drummond. Tutti e tre gli atleti hanno cambiato team tramite buyout che, ricordiamo essere una rescissione consensuale del contratto tra la squadra ed il giocatore, per cui quest’ultimo lascia da parte il suo stipendio per andare a firmare da un’altra parte al minimo salariale.

I tre sopra citati quindi hanno rinunciato ad un totale di 60 milioni di dollari per prenderne all’incirca 3. Dal punto di vista tecnico entrambi i giocatori hanno un’età avanzata, l’ex Spurs ha 35 anni, e Blake ha spento 32 candeline a metà marzo. Entrambi non sono più al prime della propria carriera e non sono All Star (come se si dovesse valutare il valore assoluto di un giocatore dalle presenze alla parata delle stelle) dal 2019. Un fattore da non trascurare è inoltre quello per il quale sia Aldrige che Griffin non hanno mai conquistato l’anello e, per appagare la propria fame di titolo, hanno rinunciato l’uno a 24 e l’altro a 37 milioni di euro che gli corrispondevano le precedenti squadre.


Così come a San Antonio Lamarcus non sarà parte del quintetto base ma una valida alternativa nelle rotazioni che, con un minutaggio contenuto può avere punti importanti nelle mani. Blake Griffin dovrà ridimensionare il proprio ruolo rispetto alla centralità di Detroit, una squadra disastrata a cui era stato scambiato, ma potrebbe risultare un’utile alternativa e dare più soluzioni tattiche, infortuni permettendo. Questi due accordi hanno comunque generato un’insurrezione popolare, una follia collettiva, una caccia alle streghe che, come punto di forza ha il seguente mantra: questi super-team uccidono la competitività.

Sviscerata la questione per cui “Brooklyn giocherà con 5 all star” bisogna sfatare il mito per che vuole che, KD e compagni si stiano facendo beffe del regolamento, non è così. Non lo è in quanto, dal punto di vista regolamentare non è concretamente possibile. La potenza economica delle 30 squadre è assolutamente identica: i 109 milioni di dollari di salary- cup a disposizione di ciascun team consentono ad ogni giocatore di poter firmare per una qualsiasi squadra. Liberando spazio salariale attraverso trade di giocatori e pick un team può decidere se puntare direttamente all’anello (Nets) o, dopo aver tankato, costruire una squadra per il futuro (Phila).


A questo mercato si aggiunge quello dei buy-out, per cui se un giocatore decide di rinunciare ad un lauto compenso per concorrere ad un obiettivo sportivo può firmare al minimo salariale. Un altro fatto assolutamente contestabile è derivante dalla critica per cui, ormai da troppo tempo si formino squadre che, a quintetto abbiano più di tre All Star, più dei famosi big three. Nel nuovo millennio è la quarta volta che si verifica questa condizione di esistenza: nel 2004 fu Kobe, che già spalleggiato da “The Diesel” vide arrivare ad LA Karl Malone e Gary Payton, una collezione di figurine inaudita: risultato? Anello a Detroit.


Florida, 2010, questa volta sono tre, ma la potenza di fuoco è tale dal non potersi esimere dal nominarli. D-Wade chiama casa Bosh e bussa alla dimora regale. L’ex centro di Toronto ed il Prescelto firmano da free agent, tre stagioni che vedono il titolo sostare a Miami una sola volta. L’ultima, la più recente e vincente rappresentazione di un team che aveva già sollevato il Larry O’Brien Trophy prima ancora che fosse fischiata la prima palla a due stagionale è datata 2016. Ai già presenti (tutti e tre giunti tempo prima da trade) Draymond Green, Steph Curry e Klay Thompson si aggiunge Kevin Durant, i Warriors raggiungono il titolo per due stagioni consecutive per poi arrendersi ai Raptors nel 2019.


Se, come la storia dello sport insegna avere dei top player non significa automaticamente raggiungere titoli questi ultimi si raggiungono vincendo le partite. Per arrivare alla vittoria più giocatori forti hai in squadra più le tue possibilità di arrivare ai playoff aumenta. Ma poi, in una lega votata allo spettacolo come la NBA una concentrazione di talento tale non può che essere un prodotto, a breve scadenza, ma che porta una fetta di pubblico sia interessata allo spettacolo che ad una possibile caduta degli dei oltre ad invogliare le altre 29 contender a dare di più contro KD e compagnia. Insomma, i Brooklyn Nets hanno dichiarato di voler conquistare il trono più ambito, su cui è seduto legittimamene il suo Re, ma non lo hanno usurpato dalla propria sala, i Brooklyn Nets vogliono vincere e ne hanno le possibilità e forse è questo, che in fondo è un problema.

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