"È la storia di un atleta prima che di un corpo." Termine generico con cui si definisce l'insieme dei tessuti che compongono la struttura anatomica di un essere vivente. "Essere che vive" ecco cosa c'è in un corpo.
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Tra le grandi ( e drammatiche) storie della Sierra Leone, quella di Michela de Prince, 25 anni, ballerina solista nell'Het National Ballet Theatre, sembra essere l'unica ad aver toccato un lieto fine. Se è vero che "tutto nella vita è fortuna", secondo Donald Trump, senz'altro i punti di vista sono un'ottima variabile da considerare, e forse Michaela, fino all'età di 8 anni, non sapeva da che parte essa giocasse. Figlia di un padre assassinato e una madre uccisa da una febbre abbastanza contagiosa in Africa occidentale, la denutrizione , Michaela nasce già a denti stretti, fra le braccia della guerra civile, della violenza, della discriminazione per la sua vitiligine intollerabile che la rendeva "figlia del diavolo".
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Ai bambini della Sierra Leone, non basta chiudere gli occhi per sognare, non hanno cuscini di gommapiuma su cui farlo, eppure Michaela lo fa di nascosto, sogna la ballerina di una rivista trovata per strada, e quello è il suo primo appuntamento con la felicità: "Mi sembra felice, quindi se lei facendo questo è felice forse se io farò questo sarò felice."
Nel 1999 una famiglia statunitense le offre la possibilità di cambiare vita, ed è subito un lungo e stancante volo per il Nord America, dove Michaela può finalmente realizzare il suo sogno, fino a prova contraria. Gli Stati Uniti degli anni '90, non sono un posto facile per una ragazzina dalla pelle scura e chiazzata che vorrebbe indossare un tutù bianco e ballare un "pas de deux" nello Schiaccianoci, tanti pregiudizi verso un corpo lontano anni luce da quello delle ballerine del New York City Ballet, che stona agli occhi di un pubblico evidentemente attratto da altri giochi cromatici.
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Il corpo di Michaela matura; i suoi fianchi, il suo seno, la sua muscolatura, intanto a lezione le compagne non smettono di deriderla, le stesse che nel 2010 la vedono partecipare allo Youth America Gran Prix per poi diplomarsi alla Jacqueline Kennedy Onassis School of Ballet, da qui il lancio, il suo riscatto. Il debutto prima al Dance Theatre of Harlem poi all'Het National Ballet di Amsterdam , di cui ne entrerà a far parte, potendo finalmente indossare quel dannato costume. Non è stato poi così male per l'America, vederla danzare a ritmo di tenacia e risolutezza.
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Gli sportivi trovano nel loro corpo la carica per andare avanti,l a stessa di un caffè amaro alle 6 di mattina, per affrontare le innumerevoli fatiche e sofferenze. Michaela quella carica l'ha trovata nel suo e oggi è fiera di mostrarlo come simbolo del diritto allo sport e alla felicità. "Never be afraid to be a poppy in a field of daffodils.
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