La Germania non conosce cicli
- Eugeni Marco
- 30 mag 2021
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 9 giu 2021
E' una fredda serata di novembre all'Estadio La Cartuja di Siviglia, la Spagna di Luìs Enrique e la Germania dell'onnipresente Joachim Low si scontrano in una partita del gruppo A della Lega 4 di Nations League. Uno scontro di grande caratura internazionale tra due delle ultime squadre capaci di vincere la Coppa del Mondo, entrate in una nuova fase della loro storia dopo i successi ottenuti nell'ultima decade, pronte a rinnovare ed innovare un movimento calcistico che ha toccato picchi di gioco ed efficienza incredibili.
Da una parte abbiamo le Furie Rosse, che dopo l'era d'oro dei vari Xavi, Iniesta, Fernando Torres, Busquets e Sergio Ramos (la lista potrebbe essere molto più lunga di così), con l'arrivo in panchina dell'ex Barcellona e Roma hanno aperto ufficialmente una nuova era, basata su una forte identità e su una squadra che ha preso un po' più le sembianze della "working class", rimanendo comunque una selezione che basa il suo essere più puro su due concetti imprescindibili: qualità e raffinatezza. Questo ha portato alla creazione di una squadra che vive su due binari all'apparenza distinti ma che riescono molto bene a correre insieme: da una parte abbiamo quei giocatori dotati di una classe suprema come Ferran Torres, un 2000 che ha pochi eguali al mondo in fatto di talento, Pedri (che però verrà chiamato per la prima volta dopo la disputa di questa partita), o Fabian Ruiz, per citare alcuni. Dall'altra notiamo una Spagna fisica, rocciosa, fatta di gente che sgomita, lotta e si sporca. Emblema di questo volto iberico è principalmente l'attaccante del Villareal Gerard Moreno, che da ormai un paio d'anni si sta confermando un giocatore di livello assoluto, o il tuttocampista dal tocco delicato al servizio del "Cholo" Simeone Marcos Llorente, che rappresentano il connubio perfetto del calcio pensato da Luìs Enrique per la sua squadra: rabbia e tecnica. Se dovesse esserci un uomo copertina per questa nuova Spagna, il numero 7 del "submarino amarillo" è l'uomo che fa al caso vostro.

Dall'altra parte troviamo la Germania del sempiterno Low, una realtà che ha dato l'addio ad alcuni dei giocatori più forti della propria storia, con il commissario tecnico che ha forzatamente dovuto dare nuova vita e nuova linfa alla sua nazionale. Anche in questo caso i tedeschi hanno dovuto un po' cambiare il loro modo di intendere ed interpretare il calcio, soprattutto perché i parametri del materiale umano a loro disposizione sono cambiati.
In primis le caratteristiche del comparto offensivo sono state totalmente stravolte. Abituati a giocare un calcio fisico e il più pratico possibile, i tedeschi si ritrovano dei giocatori tecnici, bravi nello stretto e capaci di saltare sempre l'uomo come Sanè, Gnabry ma soprattutto Kai Havertz. Dopo anni nei quali il riferimento centrale erano uomini con le caratteristiche di Mario Gomez o Miroslav Klose, la Germania ha fra le mani giocatori come Timo Werner, bravissimi ad attaccare la profondità.
Stesso discordo va fatto per il centrocampo, dopo aver giocato per anni con due mediani nel più classico 4-2-3-1 di Low, che avevano principalmente il compito di fare da schermo alla difesa, Low ha tra le mani gente del calibro di Joshua Kimmich e Leon Goretzka, ottimi in fase difensiva ma ancor più bravi in fase d'attacco, e Ilkai Gundogan, giocatore rinato e vero motore della squadra, elementi perfetti in un centrocampo a tre che si basa su qualità e quantità

Arriviamo ora alla sfida: l'arbitro fischia e dal primo minuto fino al triplice fischio non c'è partita. Una mattanza, uno schiaffo morale e di gioco indimenticabile. La Spagna vince 6-0 e certifica il suo percorso, mentre la Germania subisce la sua sconfitta più ampia dal 1931. Non era una fase finale di un mondiale o di un europeo, ma il messaggio era stato ugualmente recepito. Questo evento, come spesso accade, portò ad una campagna denigratoria verso il movimento calcistico tedesco, ma soprattutto venne universalmente riconosciuto come la Germania fosse una nazionale arrivata a fine ciclo, che avrebbe dovuto rifiatare e ripartire per poter tornare ai precedente livelli.
Un'analisi sbrigativa e mai così tanto sbagliata. Ce lo insegna la storia, la Germania è probabilmente la nazionale più forte di sempre in quanto a continuità, mentre anche grandissime realtà come Brasile ed Italia hanno attraversato anni bui, la Germania è sempre stata una fucina di talenti costante, capace di essere sempre tra le prime al mondo, nonostante passassero anni e giocatori.
Sicuramente la Germania attuale ha dovuto rinunciare, dopo la vittoria del 2014, a giocatori che forse non rivedremo mai più, ma parlare di fine di un ciclo risulta eccessivo. Anzi, la Germania si affaccia ad una nuova era calcistica con dei giocatori giovani che però hanno già vinto tanto sia in campo nazionale ed internazionale. Specialmente dal centrocampo in su la Germania schiererà, fatta eccezione per Gundogan, solo giocatori nati dopo il 1995. Sanè, Gnabry, Goretzka e Kimmich hanno praticamente già vinto tutto a livello di club, Havertz e Werner hanno invece appena vinto una finale di Champions League, decisa proprio dal talento di Aquisgrana, che ha incontrato alcune difficoltà in terra inglese, ma che dopo questo gol può veramente dare una sterzata decisiva alla sua carriera, quest'anno forse un po' sotto tono rispetto al suo talento.
Parlano i fatti, sicuramente la Germania attuale, nonostante la spropositata quantità di talenti, manca sicuramente di esperienza in palcoscenici come quello dell'europeo che comincerà l'11 giugno, in quanto molti giocatori sono alla prima esperienza in manifestazioni del genere, ma è ben lontana dall'essere una realtà in fase calante, sta anzi dimostrando ancora una volta il grande lavoro programmatico sui giovani che l'ha sempre contraddistinta, che la rende continuamente in grado di essere terra di talenti sempre al passo con i tempi.
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