Grammaticalmente parlando il suffisso “super” riguarda qualcosa che va al di sopra di una situazione ordinaria. La Superleague è dunque un’espansione del processo globalizzato che il calcio ha sempre, ciclicamente cavalcato. E allora perché? Perché il popolo è insorto? Perché si è strappato le vesti gridando ad una catastrofica ed inesorabile fine del movimento tutto?
Ci sono diversi punti da sviscerare, innanzitutto una concezione di calcio diversa, visto non più come evento sportivo ma come parte di una cultura, non un insieme di emozioni ma un prodotto che sta portando le nuove generazioni ad innamorarsi più di un singolo giocatore rispetto alla squadra.
Forse, la popolazione calcistica italiana ha, o fa finta, di avere la memoria corta: il calcio è cambiato, e non lo scopriamo di certo con il comunicato diffuso nella notte dalle 12 squadre che rappresentano l’elitè del calcio europeo.
Quando, negli anni di giovinezza dei nostri nonni la vecchia Coppa Campioni veniva sostituita da un’ancora embrionale Champions League il popolo era insorto, eppure l’aveva interiorizzata. Successivamente, nel pallone contemporaneo è stato il turno dei diritti tv: si è passati da “mamma Rai” ed i suoi post-partita attesi per vedere i gol di giornata a Sky prima e Dazn poi, risultato? Polemiche tante ma molte meno rispetto agli abbonamenti sottoscritti alle pay-tv. Un ultimo esempio: dieci anni fa queste stesse squadre fondatrici generavano il 30% delle entrate attraverso il merchandising, oggi questa percentuale è salita al 45% a causa di un cambiamento di vedere il calcio.
Ora è il turno di una nuova competizione europea che si va ad aggiungere alle altre tre (Champions League, Europa League e Conference League), che non è sostitutiva nell’idea o nel format di nessuna delle tre citate ma solamente un plus a livello tecnico, spettacolare ed economico rispetto a quelle già esistenti.
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L’idea non è un unicum nel mondo dello sport, nella giornata di oggi molte testate giornalistiche nazionali hanno compiuto una madornale inesattezza: la Superleague non sarà un fax simile della NBA(nonostante l’introduzione del salary cap) ma seguirà piuttosto il percorso fatto da un’altra competizione cestistica, l’Eurolega. L’impossibilità di trovare anche solo un punto di incontro con il modello americano sta nella concezione di sport come show-buisness che gli americani non hanno fatto proprio ma hanno creato da zero. Se i club fondatori trovassero un compromesso con gli organi che comandano il calcio allora la questione dell’uguaglianza formale tra la Superleague e l’Eurolega avrà, oltre ad una matrice comune dal punto di vista della struttura anche un uguale ostracismo prima rifiutato e poi accettato dalle federazioni.
Sono gli anni 2000 quando la UELB (unione europee delle leghe di pallacanestro) nata nove anni prima grazie alla cooperazione tra rappresentanti del campionato italiano, spagnolo e francese e poi ingrandita dall’approdo di altre 13 partecipanti si stacca dalla Fiba e crea il primo torneo d’elite privato con totale controllo de proprio marketing e dei propri diritti tv.
L’Eurolega funziona e la FIBA ha poi creato il proprio torneo internazionale, la FIBA Basket Champions League (con premi in denaro più ricchi dei concorrenti) ed ha mantenuto la prelazione sulle grandi kermesse internazionali.
I criteri di selezione sono stati negli anni rivisitati fino ad arrivare, progressivamente fu introdotto il sistema delle licenze e nel 2020-21 partecipano 18 squadre, regular season di andata e ritorno di 34 giornate, le migliori otto vanno ai quarti di finale e le migliore quattro si giocano il torneo nelle Final Four. Formula praticamente identica alla Superlega. Undici squadre hanno una licenza pluriennale, tra cui l’AX Milano, vengono assegnate due wild card e partecipa la vincente dell’Eurocup Fiba più le vincenti dei campionati che non possiedono la licenza A. Una formula che prevede più squadre fisse unite ad un insieme di compagini scelte ad invito sulla base dei risultati sportivi ottenuti.
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Tornando alla Superleague è quindi auspicabile e possibile un punto d’incontro tra le due forze anche se le minacce mosse dalla Fifa contro i detrattori nelle ultime ore sembrano essere infondate: si potrebbero infatti davvero permettere di perdere gli asset derivanti dai giocatori escludendoli dalle uniche competizioni di propria giurisdizione ovvero europei e mondiali?
Il presidente FIP Giovani Petrucci, intervenuto ieri a Sky Sport ha commentato questa eventualità con una provocazione: “Un conto sono le dichiarazioni un conto gli atti, pensate se non facessimo giocare i giocatori NBA agli europei perché partecipano all’Eurolega”.
La Uefa, oltretutto potrebbe si impedire la partecipazione dei calciatori ai propri eventi (sanguinando perdite) ma non può certo negare l’entrata in campo in una competizione privata a lavoratori di un’azienda privata. L’unico cavillo a cui i due enti potrebbero aggrapparsi riguarda un possibile illecito sportivo che passerebbe per tribunali ed enti extra-campo e richiederebbe tempistiche lunghe. Sbugiardate alcune tesi che sembravano essere verità assolute è tempo mi sento di dare un’opinione da amante del calcio.
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Come tale, cresciuto a pane e pallone non mi sono mai interessato alla categoria ma al pallone che rotola: ho visto partite di qualsiasi genere e categoria sempre guidato da quella sfera. La prima partita vista allo stadio fu un Inter-Anorthosis di Champions League, l’ultima Oratorio Castelleone-Corona del Girone J di seconda categoria lombarda.
Di mezzo ci sono state un mare di partite, posso dire di averne vista almeno una di tutti i livelli del calcio italiano e, trovo folle non cogliere un’opportunità che, nel corso degli anni porterà benefici ad ogni strato di una piramide marcia, la Superlega è stata una bomba esplosa sulle macerie. Ma in queste due giornate non ho letto o sentito ragionamenti di ricostruzione, bensì, in questo momento una continua lode a quella definita la parte “buona” della storia.
Per concludere, in queste folli 48 ore ho letto “il calcio è morto” e poi “non guarderò più il calcio” eppure, sono sicuro che questo tipo di consumatore sarà il primo a sottoscrivere un abbonamento alla Superleague, forse non ricordandosi che il progresso ci ha portato uno strumento in grado si di cambiare canale ma allo stesso tempo di farci cambiare repentinamente idea su quei valori che, di pancia abbiamo issato a bandiera.
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