Di recente una delle riviste sportive più importanti del mondo, France Football, ha deciso di stilare una classifica sui più grandi talenti sprecati nella storia del calcio. La lista, che comprende ben sei giocatori italiani o che hanno giocato in Serie A, ha al suo interno atleti del calibro di Adriano, Anelka, Berbatov ed il nostro connazionale Antonio Cassano, che occupa il gradino più alto della classifica. Lo scopo del giornale francese è stato quello di evidenziare come le carriere di questi giocatori possano essere state anche buone, ma di molto inferiori rispetto alle loro possibilità tecniche.
Da questo tipo di articoli o classifiche emerge come nel mondo dello sport il talento sia spesso accostato solamente alla sfera tecnica, se sei bravo nei fondamentali di un determinato sport o se riesci a pensare oltre i semplici schemi imposti da una determinata disciplina, hai talento. La figura appena descritta nel mondo del calcio può essere accostata alla mitologica figura del numero 10, come evidenziato dalla classifica della testata, che presenta nella sua totalità giocatori offensivi. Questo a dimostrazione di quanto detto fino ad ora, quando si parla di talento nella maggior parte dei casi lo si percepisce in maniera monodirezionale, assimilandolo alla cosiddetta "giocata" o ad altri aspetti puramente estetici del gioco, in quanto alcune delle emozioni maggiormente ricercate nel mondo dello sport sono lo stupore e la meraviglia.
Spesso però, come ricordato da atleti che hanno fatto la storia dei rispettivi sport, le cose più difficili e maggiormente utili sono poi quelle all'apparenza più facili. Come raccontato a più riprese da Johann Cruyff riguardo la fantastica nazionale olandese del 1974, all'interno di quella squadra molti dei calciatori seduti in panchina dal punto di vista puramente tecnico erano anni luce avanti rispetto a molti dei titolari, ma nell'economia di squadra il numero 14 di Ajax e Barcellona ha raccontato come per esempio Krol e Suurbier, i due terzini, avessero un impatto positivo sulla squadra talvolta anche maggiore al suo, per capacità di interpretazione del ruolo, delle situazioni e la semplicità di essere sempre in grado di fare la cosa giusta.
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"Fare la cosa giusta", questa è forse una delle più belle forme di talento nel mondo del calcio, che troppo spesso però viene messa in secondo piano. In un mondo fatto di highlights spesso e volentieri non fanno notizia giocatori all'apparenza pragmatici e noiosi che però sono il vero motore di un'intera squadra. Nel Barcellona che a cavallo delle due decadi del ventunesimo secolo ha vinto praticamente tutto i nomi sulla bocca del mondo intero erano principalmente tre: Lionel Messi, Andrès Iniesta e Xavi Hernandez. Giustissimo, parliamo di due dei migliori centrocampisti della storia recente del calcio e di uno che per molti è il migliore di sempre. Allo stesso tempo però si è parlato troppo poco del terzo anello di quel centrocampo che ha diffuso il verbo del calcio per quasi dieci anni: Sergio Busquets. Il numero 5 dei blaugrana oltre a possedere una tecnica di base incredibile è dotato di un senso della posizione che tocca livelli di efficienza altissimi.
Non essendo veloce e non molto rapido in fase difensiva ha sempre colmato questa sua mancanza giocando un calcio di posizione di una difficoltà non quantificabile, capendo come massimizzare al massimo le proprie capacità. Inoltre se il numero 8 ed il numero 6 mandavano in porta i compagni, Sergio faceva in modo che a loro la palla arrivasse sempre pulita, molto probabilmente le palle sporche date da Busquets in carriera possono essere contate con l'ausilio di una sola mano. Questo è sempre talento, sicuramente meno appariscente e propenso ad avere su di sé le luci della ribalta. Questo non significa che giocatori come Sergio Busquets meriterebbero il Pallone d'Oro, ma una maggiore attenzione mediatica sicuramente sì.
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Ma di esempi ce ne sono tanti altri, uno su tutti prende però ora il sopravvento rispetto agli altri: Olivier Giroud. L'attaccante francese, che nelle ultime sessioni di mercato è stato accostato più volte a squadre del campionato italiano, non essendo considerato un giocatore in grado di garantire 20 gol a stagione (nonostante nei 6 anni con la maglia dell'Arsenal abbia quasi sempre raggiunto questa cifra) è stato sempre additato come un sopravvalutato, incapace di fare ciò che solitamente viene richiesto ad una punta. Dal canto suo però l'attuale giocatore del Chelsea ha sempre dimostrato di essere uno dei migliori numero 9 di supporto in circolazione.
Nel trionfale mondiale in Russia con la sua Francia Giroud in 7 partite non ha mai tirato in porta, un dato incredibile per un attaccante e che all'apparenza potrebbe essere sintomo di inadeguatezza. Niente di tutto ciò, come spiegato dal suo C.T. Deschamps appena conclusa la spedizione nella terra che fu degli Zar: "Olivier è l'uomo che fa per noi, riesce a tenere palla e ad appoggiarla, con i suoi movimenti a venire incontro riesce a creare spazi per Griezmann e Mbappè, è il giocatore più funzionale sul quale possa contare". Una dichiarazione d'amore che racchiude al suo interno tutto quello che rappresentano giocatori come Giroud.
In un mondo come quello del calcio in cui ognuno cerca di avere i propri 15 minuti di notorietà capire il proprio ruolo all'interno dell'economia di squadra, riuscire a fare sempre e comunque non la giocata più bella ma quella più giusta ed avere la capacità di andare oltre l'idea dietro la posizione che viene ricoperta in campo, è una forma di talento rarissima.
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Pochi esempi di un concetto molto più complicato e degno di nota. In un gioco come quello del calcio, all'apparenza fatto di poche sfaccettature e trame simili, il talento non può essere ridotto e ricondotto a pochi e semplici dogmi. L'era odierna ci sta regalando moltissimi giocatori con caratteristiche specifiche che forse non torneranno più, e l'idea di vederceli sfuggire senza dar loro il giusto riconoscimento potrebbe in futuro diventare un errore del quale ci pentiremo.
"Il talento sta nelle scelte"
Robert De Niro
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