Le stagioni, le impressioni e le aspettative nel mondo del calcio, così tanto passionale, possono cambiare da un momento all'altro. Questo concetto può benissimo adattarsi alla situazione che sta vivendo in questi ultimi giorni la A.S. Roma, passata da un terzo posto e la certezza di essere artefice di una buona stagione ad un'annata che si prospetta turbolenta e piena di incertezze, tutto questo in soli 5 giorni. La posizione in classifica, dopo i vari recuperi, non cambierà di molto, ma se le altre pretendenti ad un posto in Europa sembrano lanciate la squadra dei Friedkin sembra essere entrata in un loop negativo che sta ormai diventando un tratto distintivo.
L'incredibile capacità di autodistruzione istantanea che sta caratterizzando le ultime stagioni della Roma è un qualcosa che va oltre il semplice calcio giocato, che probabilmente collide con aspetti della sfera psicologica. La partita con lo Spezia conferma in toto questa tesi, perché oltre al mero risultato è stata la questione dei 6 cambi che ha lasciato basito l'intero mondo calcistico italiano, che con sgomento ha dovuto constatare l'attuale stato di confusione dei 3 volte campioni d'Italia.
Dopo aver dimostrato di essere concentrata e solida con le squadre medio-piccole, a differenza di altre grandi che con queste formazioni hanno perso punti importanti, una volta arrivata alla scontro con le prime della classe ha sempre faticato. Ciò che è mancato però non sono tanto i risultati, che possono arrivare o meno, ma è l'atteggiamento degli uomini di Fonseca che ha lasciato perplessi anche i più ottimisti tifosi giallorossi. Soprattutto nel derby e nella partita contro il Napoli Dzeko e compagni, oltre a non aver espresso nessun tipo di gioco, hanno dimostrato una capacità di andare oltre le avversità pari a zero, sintomo di poca fiducia e prontezza ad affrontare situazioni di questo tipo, quelle che ti fanno fare proprio quel salto di qualità che ora sembra essere lontano.
Alla base di questa mancanza possiamo trovare sicuramente il rinvio costante di un progetto a lungo termine, la mancanza di veri leader nel momento del bisogno (almeno per quanto visto fino ad ora), una latente identità tattica ma soprattutto sembra mancare il coraggio di prendersi per mano l'un l'altro nel momento della svolta o del bisogno.
Questa però, come detto in precedenza, non è una novità in casa giallorossa, ed anzi questo crollo sembra arrivare sempre nel mese di gennaio che, insieme a febbraio, rappresenta il periodo più buio nelle stagioni della squadra capitolina.
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Se infatti andiamo ad analizzare il record di vittorie/sconfitte della Roma nel primo mese dell'anno possiamo renderci conto di come molto spesso negli ultimi anni il passo per restare attaccata alle big o confermarsi come tale si sia perso proprio in questi fatidici 31 giorni, che hanno più volte rappresentato la fine delle ambizioni giallorosse.
Da delle brutte batoste ci sono squadre che ritrovano la grinta necessaria per poter ripartire e fare ancora meglio (in Italia l'esempio lampante è la Juventus), mentre in questo la Roma ha sempre deficitato. Una caratteristica permanente tipica di una mentalità sbagliata.
Ed il talento per riprendersi dopo un periodo in calo o una partita sbagliata non mancherebbe assolutamente, specialmente dal centrocampo in su. Giocatori come Dzeko, Pedro e Mkhitaryan sono atleti che dovrebbero avere le spalle abbastanza grandi per poter guidare una squadra, sia per tecnica che per esperienza, ma questo per ora non sta accadendo, o almeno solo in parte.
Come già successo negli scorsi anni la cosa più semplice da fare sarebbe una caccia alle streghe che spesso si traduce con l'esonero dell'allenatore, ma sarebbe solamente l'ennesimo ciclo che si riapre e che farebbe ripartire da capo un meccanismo conosciuto.
L'opzione più consona e che potrebbe portare maggior effetti a lungo termine sarebbe un radicale cambio di mentalità ed atteggiamento. Con l'arrivo della nuova dirigenza questo passaggio in questo preciso momento sarebbe applicabile molto più facilmente rispetto ad altre situazioni passate.
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Tutta questa situazione, semmai avessimo il compito di trovare un "capro espiatorio" potrebbe essere ricondotta al vuoto societario che ha caratterizzato la società capitolina in tutto l'arco della presidenza Pallotta. In 8 anni l'imprenditore americano, oltre ad essere stato molto poco presente nella capitale ha dimostrato più volte una certa lontananza rispetto ad alcune dinamiche, lasciando gestire per esempio questioni conflittuali ad altri, creando una sorta di vuoto incolmabile fra dirigenza e dipendenti (fra i quali anche i calciatori), non facendo passare quindi quel sentimento di comunità di intenti, fondamentale per avere un gruppo solido e capace di superare momenti di difficoltà come questo.
In questo sembra esserci un grande gap rispetto all'altra squadra di Roma, la Lazio, che dalla nascita del rapporto con Simone Inzaghi è riuscita a non cedere i giocatori più in vista (grazie ad una minuziosa opera di bilancio), a fare acquisti mirati nei ruoli maggiormente scoperti e a creare un rapporto società/tecnico che ha avuto sì alcuni momenti un po' meno sereni ma che nel corso degli anni ha cercato di non sgretolarsi di fronte alle prime avversità. Soprattutto però questo diverso approccio ha portato i biancocelesti ad allargare la loro bacheca, facendola diventare la seconda squadra in Italia per trofei vinti negli ultimi 10 anni, dietro solo la schiacciasassi Juventus.
Detto questo, alla squadra di Via Tolstoj non rimane che prendere atto dell'ennesimo passo falso degli ultimi anni, che in pochi giorni sembra aver gettato al vento mesi di quello che sembrava essere un buon lavoro. Alla costante ricerca di trovare un proprio posto nel mondo, la Roma sta rischiando di rimanere, ancora una volta, intrappolata in un limbo perpetuo.
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