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Icone: Ronald Koeman

Immagine del redattore: Eugeni MarcoEugeni Marco

In questi giorni, dopo la disfatta nei quarti di finale di Champions League contro il Bayern Monaco, a Barcellona è stata messa in atto una vera e propria rivoluzione e rimesso il calendario ad un ipotetico "anno zero", dopo quasi 15 anni di vittorie e successi. Molti dirigenti hanno dato l'addio, quasi tutta la squadra è sul mercato, e c'è stato anche un cambio per quanto riguarda la guida tecnica. Dopo la deludente esperienza di Quique Setièn, la squadra ora è in mano a Ronald Koeman, ex giocatore dei catalani, e che quindi già avvezzo all'ambiente, ma portavoce di un calcio molto diverso rispetto a quello visto da Pep Guardiola in poi. Questo aspetto rappresenta la vera rottura con il recente passato, il probabile abbandono di una filosofia di gioco così tanto rappresentativa ed immediatamente riconoscibile.

Olandese classe 1963, come quasi tutti i talenti oranje dopo l'esordio con la maglia del Groningen va a giocare nell'Ajax e poi nel PSV per un totale di 6 stagioni, nelle quali trova la sua completa dimensione, sia calcistica che ideologica. Giocava principalmente da libero, un ruolo che all'interno del rettangolo verde è ormai sparito, ma incarnava allo stesso tempo quel concetto di gioco tanto offensivo quanto metodico narrato ed elogiato dal numero 14 più famoso di tutti i tempi. Dotato di una capacità di palleggio oltre ogni logica per un difensore ( a volte però anche centrocampista), occupava il campo da gioco a 360 gradi ed anche nei movimenti più banali mostrava continuamente un'eleganza quasi intimidatoria. Indossava perfettamente l'abito di giocatore copertina del tanto decantato "calcio totale", che quasi 10 anni prima aveva incantato il mondo intero ai mondiali del 1974. Gran battitore di punizioni, soprattutto grazie alla sua potenza di tiro (non a caso era soprannominato "Rambo"), in carriera non finì mai una stagione sotto i 10 gol, statistica incredibile per chi di regola gol non li deve far fare.

Come nelle storie delle quali conosci già la trama, nel 1989 decide di uscire dai confini della madre patria e di indossare la maglia blaugrana del Barcellona, che in quel momento era allenata da quello che per Patroclo era Achille, il suo mentore, Johan Cruyff. 6 anni per lui in terra iberica e la crescente consapevolezza di essere un giocatore probabilmente mai visto prima d'allora, atipico e avanti rispetto ai tempi che correvano, strizzando quindi l'occhio alla visione della palla sferica che aveva il suo tecnico. Ronald era il catalizzatore e il centro di gravità del gioco di uno dei Barcellona più belli di sempre da veder giocare, guidati da gente del calibro di Michael Laudrup e Hristo Stoichkov. Ne sanno qualcosa Vialli e Mancini, che quando vestivano la maglia della Sampdoria hanno perso contro di loro la finale della Champions League del 1992, proprio grazie a un gol di Koeman su punizione

Il Koeman allenatore, come hanno dimostrato le esperienze al Southampton e con la nazionale olandese, ha sempre cercato di dare alle sue squadre un gioco "alla Cruyff", senza mai legarsi però a dei dogmi imprescindibili, ma è stato spesso criticato per i risultati altalenanti. Forse non la scelta migliore dal punto di vista tecnico, ma quella più giusta per l'ambiente. Un cambio di rotta sì ma tenendo sempre a mente l'animo blaugrana che non può essere stravolto. Come giocatore invece unico nel suo genere, probabilmente nessuno è riuscito a replicare il suo stile di gioco, difficilmente si è sentito e si sentirà parlare di un "nuovo Koeman", per nostra sfortuna

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