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Icone: Luis Hernandez

Immagine del redattore: Tellurio MatteoTellurio Matteo

Da sempre l'essere umano si è spinto faccia a faccia con la morte. Il poter di dire di aver guardato negli occhi il destino e di essere riuscito a raccontarlo. Un'emozione simile la potete vivere gettandovi dal bungee jumping o col paracadute, rivisitazioni in chiave moderna di spericolati atteggiamenti che risalgono fino alla notte dei tempi. Una delle culture più affascinanti del mondo, quella latina, ha creato una secolare liturgia dello sfidare il destino, la corrida. Protagonista indiscusso dell'evento insieme al toro è il matador, colui che sfida apertamente il terribile avversario consapevole di essere ad un passo dalla morte. Per origini, tipicamente latine, e per il suo aspetto da protagonista assoluto di quella particolare corrida che è il gioco del calcio, l'eroe della storia di oggi viene ricordato come "El Matador", Luis Arturo Hernández Carreón.



Un dominatore in terra natia, con il Necaxa ha vinto tutto quello che si poteva vincere in Messico. Dopo aver girato un po' di squadre messicane provò l'avventura al Boca Juniors, senza però riuscire a emergere. Dopo altre stagioni molto prolifiche in patria, tentò fortuna negli states, accasandosi agli L.A. Galaxy. Anche qui Hernandez non nascose le sue doti di puro realizzatore, facendo vincere alla squadra di Los Angeles ben due trofei. Infine nel 2002 decide di tornare nel suo amato Messico, dove si ritirerà definitivamente nel 2004.



Se nei club ha sempre segnato ma è rimasto lontano dal calcio che conta, con la nazionale Hernandez si è potuto mettere in mostra davanti a tutti, conquistando i cuori di tanti appassionati. Esplose prima nella Copa America del 1997, dove i messicani strapparono il terzo posto, e poi nel Mondiale del '98, dove divenne il primo messicano a segnare più di due gol in un mondiale. Nel 1999 arriva il trofeo inatteso, il Messico organizzatore si porta a casa la Confederations Cup battendo in finale il Brasile. Una squadra che faceva impazzire i tifosi di tutto il mondo, con davanti El Matador Blanco dai lunghi capelli biondi.



Un giocatore che rischia di essere dimenticato. Non ha mai giocato in Europa o in squadre di grande calibro internazionale ma forse è giusto così. El Matador era legato alla sua terra, non lo si poteva trapiantare in un sobborgo di Londra. Hernandez è un'istituzione in Messico e lo rimarrà per sempre, a prescindere dal giudizio del resto del mondo. A noi però piaceva ricordarlo, El Matador Blanco, che sfidava gli avversari guardandoli negli occhi come Joselito guardava il toro nell'arena di Talavera de la Reina.

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