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Icone: Garrincha

Immagine del redattore: Eugeni MarcoEugeni Marco

Aggiornamento: 28 ott 2020

In un calcio che al giorno d'oggi dà sempre più importanza all'estetica, non solo dentro il rettangolo di gioco, siamo ormai abituati a vedere i calciatori non più solo come atleti professionisti, ma come vere e proprie icone di stile. Da quando David Beckham si prestò per la prima volta come fotomodello al monopolio pubblicitario del fenomeno di Madeira Cristiano Ronaldo, il calciatore si è trasformato in un V.I.P. a tutti gli effetti, portando con se tutti gli oneri della fama, tra i quali una cura maniacale del proprio corpo.


Facciamo ora un salto temporale di quasi 90 anni e pensate di essere un esile ragazzo proveniente dal Brasile degli anni '30, leggermente strabico, con la schiena deformata, uno sbilanciamento del bacino ed una gamba sei centimetri più lunga dell'altra a causa della poliomelite. Quanto detto fino ad ora andrebbe praticamente ad annullarsi e sarebbe completamente ribaltato.


Un personaggio che difficilmente ai giorni nostri troveremmo sulle prime pagine dei giornali, ben lontano dai canoni imposti dall'informazione e dai media, ma che fra gli anni '50 e '60 è riuscito comunque a far parlare di se per le proprie abilità in campo.


Se in cima al trono verdeoro siede l'inarrivabile "O Rey" Pelè, alla sua destra troviamo il protagonista del nostro racconto, il miglior interprete del ruolo di ala nella storia del calcio, uno dei migliori dribblatori di sempre, Manoel Francisco dos Santos, sua maestà Garrincha.


Per alcuni addirittura si trova sopra al numero 10, per il semplice fatto che Pelè sia andato a giocare per il milionari statunitensi, mentre lui no, da questo il soprannome "alegria do povo" (allegria del popolo).

Ognuno di noi di errori ne compie tanti nel corso della propria vita, ma non grandi quanto quello commesso dai medici che visitarono Garrincha appena nato. A causa dei diversi difetti congeniti infatti sconsigliarono alla famiglia di far praticare sport al ragazzo, ritenuto troppo fragile, soprattutto per il suo problema alle gambe. Addirittura dissero che per lui sarebbe stato difficile camminare, non male per uno che in carriera verrà soprannominato "l'angelo dalle gambe storte".


Se pensate ancora che Best sia stato il più grande "bad boy" nella storia del calcio, Manoel fece peggio e prima di lui. La sua prematura dipartita a 49 anni infatti fu causata dall'abuso di alcool e il suo stile di vita sregolato, che gli causarono una cirrosi epatica ed un edema polmonare. Passionale amante di innumerevoli donne, visse la propria vita a pieno, sia in campo che fuori, cercando il più possibile di rendere tutto ciò che lo circondava un divertimento.


Da sempre un idolo paterno, viene descritto da colui che mi ha dato la vita come il più grande spettacolo che abbia mai messo piede dentro un campo, capace di saltare sempre l'uomo con la sua personalissima finta, riuscita fino ad ora solo a lui in maniera così sublime grazie alla differente lunghezza degli suoi arti inferiori. Nonostante ripetesse la medesima giocata moltissime volte nell'arco di una partita, per i difensori era quasi sempre impossibile riuscire a fermarlo, data la capacità di eseguirla ogni volta in maniera perfetta.


Dotato di un tiro potente e preciso, da buon brasiliano inventò un nuovo modo di tirare i calci da fermo, è infatti sua l'invenzione del cosiddetto "tiro a banana". Massimo esponente del "futebol moleque", corrente che non tiene conto degli schemi di gioco ma che si affida esclusivamente all'inventiva e all'improvvisazione, fu sempre considerato un eretico rispetto al metodico calcio europeo.

Cresciuto quasi allo stato brado camminava scalzo, nuotava nei fiumi e dava la caccia agli uccelli. Proprio da quest'ultima pratica nacque il suo soprannome, infatti la sorella fece notare la somiglianza tra di lui e un pennuto chiamato proprio "garrincha".


Inizia a giocare nel Pau Grande, la squadra della fabbrica tessile nella quale lavorava, e nel giro di poco tempo diventò il tipico "idolo del quartiere", tutti sapevano chi fosse e cosa fosse in grado di fare. Per essere considerato nel panorama calcistico locale dovevi confrontarti con lui.


Non pensò mai seriamente al professionismo fino ai 17 anni, quando nel 1950 un responsabile della fabbrica lo portò in diverse squadre per dei provini. Tutti lo scartarono definendolo uno "storpio", solo il Botafogo diede una chance al ragazzo ben 2 anni dopo, alla soglia dei 19 anni.


Nessuno, neanche il più ottimista, era conscio di quale grande storia sarebbe nata tra Garrincha e il club bianconero. In 12 anni di permanenza nella squadra di Rio de Janeiro siglerà 259 gol in 579 presenze, vincendo 3 campionati.


Questa però rimane la sua unica esperienza degna di nota con un club, infatti dopo l'addio al Botafogo nel 1965 cambierà molte maglie tra le quali il Vasco da Gama, Atlètico Junior, Flamengo e Olaris, ma in nessuna lascerà il segno.


Iniziò ad essere tormentato da numerosi problemi fisici, molti medici gli consigliarono di sottoporsi a numerosi interventi, il suo corpo si stava logorando a vista d'occhio, d'altronde stiamo parlando di un uomo che, secondo i medici, non doveva neanche praticare sport. Inoltre il turbolento rapporto con l'alcool mise ancora di più alla prova il suo corpo.

Il proprio posto nella leggenda l'ala lo lasciò con la Selecao, infatti fu una delle punte di diamante di una delle nazionali più forti di sempre. Disputò 50 partite con la sua nazionale e ne perse solo una, l'ultima. Vinse il mondiale in Svezia del 1958 e quello successivo del 1962 disputato in Cile. Nella prima vittoria fu un protagonista sia in positivo che in negativo, infatti alle grandi giocate in campo alternò comportamenti poco consoni. Nelle prime partite dei gironi venne addirittura fatto sedere in panchina a causa della sua poca disciplina tattica.


Nel 1962 invece raggiunse l'apice della sua carriera, venne infatti eletto come miglior giocatore della competizione. Nella finale della competizione l'allenatore della Cecoslovacchia decise di far marcare Garrincha da addirittura 4 uomini, ma non riuscirono ugualmente a fermarlo.

Uno dei massimi esperti di un'arte ormai scomparsa, quella del dribbling, forse in parte oscurato dal talento del suo compagno con la numero 10 sulle spalle. Un personaggio poco noto ai più giovani, ma uno di quelli che merita di sedere al tavolo dei grandi. Una storia personale che va ben oltre il semplice calcio giocato, un antieroe, un sovversivo, "el alegria do povo".



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