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Ha senso parlare di G.O.A.T. nel basket?

Immagine del redattore: Eugeni MarcoEugeni Marco

Grazie all'avvento di internet, e in particolar modo dei social network, è stata data a tutti la possibilità di esprimere la propria opinione riguardo un infinito numero di argomenti. A questa dinamica tipica della modernità non è escluso il dibattito sportivo, infatti al giorno d'oggi, sotto qualunque post di Facebook, Twitter o Instagram, che magari non ha neanche l'obiettivo di creare discussione, nasce un campo di battaglia di caratteri ed emoticons, il preferito dall'essere umano del XXI secolo. Essendo iscritto ad un numero indefinibile di gruppi Facebook riguardanti la pallacanestro, con l'obiettivo di raccogliere il maggior numero possibile di diverse visioni e crearne una puramente mia, ho osservato che un dibattito su tutti crea le dispute più accese, quello riguardante il G.O.A.T. del basket.

Con l'acronimo di derivazione puramente americana di G.O.A.T., si fa riferimento alla frase "Greatest of all times", che identifica il giocatore o l'atleta più forte della storia in un determinato sport o disciplina. Come logico aspettarsi, nell'elaborazione di un pensiero come questo, su chi sia il migliore, il 99% di ciò che diciamo è dettato dal nostro istinto, guidato dalle nostre più intime emozioni. Questo perché lo sport è in sé per sé un qualcosa di irrazionale e soggettivo, tranne che per alcune macro questioni, e questo porta di volta in volta allo scontro tra un grandissimo numero di diverse scuole di pensiero. Nel mondo della palla a spicchi in realtà ci troviamo di fronte a 2 grandi schieramenti: Jordan , Jordan no.

I motivi per i quali il numero 23 dei Bulls sia considerato il migliore di sempre sono noti alla maggioranza delle persone. Micheal Jordan, oltre ad un numero impressionante di titoli di squadra ed individuali, è stato capace di essere un trendsetter anche al di fuori dell'ambito basket, non è stato semplicemente un giocatore, è tuttora un'icona della cultura americana ed internazionale, immediatamente riconoscibile ed identificabile. Questo per moltissimi è ciò che lo pone nel gradino più alto del podio, ma attraverso il mio punto di vista spiegherò perché, evitando di inserire nella discussione aspetti extra-basket, non è possibile identificare un solo uomo che possa elevarsi al di sopra di tutti gli altri. La pallacanestro è uno sport, come del resto tutti gli altri, che nel corso degli anni si è continuamente evoluto, basti vedere il ruolo svolto dal tiro da 3 punti nelle ultime stagioni per capire come le dinamiche siano in continuo cambiamento. Quindi, come si possono paragonare giocatori provenienti da epoche diverse, che di conseguenza hanno giocato, per usare un eufemismo, a sport diversi?.


Per farlo stilerò una lista di 3 punti, 3 diversi aspetti del gioco, che per me sono i più rilevanti, e assegnerò ad ogni punto un giocatore, che a mio modo di vedere potrebbe essere il numero uno.


1. Dominio del gioco: Wilt Chamberlain

Se parli di dominio nel basket, non puoi non parlare di Wilt Chamberlain. L'uomo che si narra abbia avuto più di 1000 donne, detiene un numero imbarazzante di record, tra i quali quello per il maggior numero di punti in una sola partita, ben 100, a cui si uniscono ben 4 titoli di MVP della regular season. Ha giocato dal 1959 al 1973, ha mantenuto per 8 stagioni consecutive una media di oltre 30 punti a partita conditi da 20 rimbalzi, nel 1962-63 addirittura riuscì a superare i 40 punti a partita. 2,16 metri per 120 chilogrammi, fu un predecessore del giocatore moderno, un fisico statuario, che lo renderebbe fuori dalla norma ancora oggi, unito ad un'agilità ed una tecnica sopraffine. Per far capire la portata del suo talento, la lega fu costretta a cambiare delle regole per ridurre la sua onnipotenza, infatti venne allargato il pitturato, la zona nella quale non si può rimanere oltre 3 secondi quando si è in attacco, e venne impedito di intercettare la palla mentre è in volo verso il canestro, una sua specialità data la sua elevazione e la sua altezza. Per questo lui, se si parla di dominio nel parquet, non è secondo a nessuno, era semplicemente nato per essere 30 anni avanti in tutto e per tutto, in una NBA ancora acerba, lui era già un albero pieno di frutti.


2. Total package: Lebron James

Questo sarà sicuramente un punto discusso, ma nella mia personalissima analisi, almeno per quanto riguarda i fondamentali del gioco, non c'è stato un giocatore al livello del ragazzo di Akron. Cercando di escludere dal discorso "The Decision" del 2010 e il fatto di aver preso non poche NBA Finals, il valore assoluto dell'attuale giocatore dei Lakers non può essere messo in discussione. 4 volte MVP, 3 volte campione NBA, nasce come ala piccola ma può ricoprire tutti e 5 i ruoli del campo, tecnica in palleggio mai vista per un uomo di 2 metri, visione di gioco , forza fisica, un tiro dalla media e in penetrazione praticamente inarrestabili. Si distingue anche per essere un eccezionale passatore, un buon rimbalzista e per possedere la capacità di elevare i compagni di squadra, mentre difensivamente pecca un po', spesso per motivi di concentrazione. E' l'unico giocatore ad essere nella top 25all-time per punti, assist e rimbalzi, ha dimostrato dei miglioramenti evidenti nel corso della sua carriera, e, anche a 35 anni compiuti, sembra in continua evoluzione. Rappresenta tutto ciò che il basket moderno desidera, è come se fosse stato assemblato in laboratorio, Magic Johnson nel corpo di Karl Malone.


3. Clutch player: Michael Jordan

Ed eccoci al punto tanto discusso, Jordan sì o Jordan no? Per molti aspetti, . La guardia dei Bulls in carriera ha dimostrato di saper fare tutto e in modo praticamente perfetto, ma soprattutto di essere "clutch", cioè quando la palla scotta, lui se la prende e la mette in retina. Probabilmente il migliore di tutti nella metà campo offensiva, riuscì a dimostrare la sua grandezza riuscendo a vincere anche il premio di difensore dell'anno. Praticamente immarcabile per chiunque, è riuscito per ben 2 volte a smettere, per poi tornare e dimostrarsi ancora il migliore. Aveva la capacità di suscitare un senso incredibile di sicurezza, quando lui aveva la palla in mano, sapevi che sarebbe andata come lui voleva. Dote che però mi ha sempre lasciato a bocca aperta, fu la sua mentalità vincente ed incredibile competitività, una costanza di rendimento e una tranquillità nei momenti di pressione imbarazzanti. La più grande icona dello sport.


Ho voluto dedicare poche righe all'analisi dei 3 giocatori perchè il mio intento non è questo. Il mio scopo è far cogliere a voi la diversità e la complessità che attraversa lo sport, che non può essere ridotta ad uno sterile dibattito su chi sia il migliore, perché non c'è. Ogni giocatore attraversa epoche diverse, gioca con compagni diversi e affronta avversari diversi. Dovrebbe essere creato un mondo uguale per tutti, nel quale si possano ripetere per tutti le medesime situazioni e nelle medesime condizioni, ma ciò non è possibile. Molti si sono distinti nella loro carriera, e si sono elevati rispetto ad altri, ma ciò non può rappresentare uno status di superiorità. Come detto all'inizio, lo sport è emozione ed irrazionalità, e tale deve rimanere anche questa disputa, perché legata a ricordi o momenti che sono rimasti impressi nella nostra mente. 


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