"Nessun posto è bello come casa", disse Dorothy Gale nel Mago di Oz, e molto probabilmente queste parole le ha pensate anche Martìn Palermo nel 2011, quando giocata la sua ultima partita con il Boca Juniors prima del ritiro, sentì la Bombonera intonare il suo nome, in quel momento deve aver capito di essere stato qualcosa in più di un semplice giocatore gialloblu, e non solo dal punto di vista statistico, essendone il miglior marcatore di sempre, ma soprattutto come uomo, che per quella maglia ha dato tutto e mostrato amore incondizionato non ad una tifoseria, ma ad un popolo.
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Argentino di origini italiane, cresce nell'Estudiantes, squadra della sua città con la quale fa il suo esordio da professionista a 18 anni. Rimarrà fino al 1997 affermandosi come un ottimo attaccante, fisico ed abile di testa, venendo acquistato dalla squadra più importante e titolata della propria nazione, il Boca. Consacrazione ed esplosione, queste le 2 parole cardine del suo primo stint in gialloblu, riesce a segnare e a vincere, e nel 2000 riuscirà a portarsi a casa la Copa Libertadores e anche quella Intercontinentale, battendo il Real per 2-1 in finale grazie ad una sua doppietta. Come ogni buon sudamericano il calcio europeo è il sogno e la meta da raggiungere, e nel 2001 passa al Villareal, esperienza che si rivelerà però disastrosa a causa di un infortunio al legamento crociato, lo stesso che nel 1999 ha impedito il suo passaggio alla Lazio. Segnerà in 2 stagioni solamente 18 gol e come altri prima e dopo di lui, fra cui il suo amico e compagno in madre patria Riquelme, che andrà in terra europea e sempre al Villareal e poi al Barcellona, non riuscirà esprimersi al pieno delle proprie possibilità fuori dall'Argentina. In seguito passa al Betis Siviglia e poi addirittura al Deportivo Alavès, in Segunda Divisìon, mettendo a referto un solo gol.
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La nostalgia di casa inizia a farsi sentire, troppo legato alla propria casa non solo dal punto di vista calcistico, ci sono giocatori come lui, bravissimi ma magari fragili, capaci di esprimersi solo se nello stato mentale giusto. Nel 2004 come il figliol prodigo torna a casa, la Bombonera lo sta per riaccogliere da eroe e come se non se ne fosse mai andato. 7 anni nella sua seconda vita a Buenos Aires, un'altra Copa Libertadores e gol a profusione, ma nel 2008 il ginocchio fra crack per la terza volta, sfortuna latina. Ritornerà in campo, notevolmente fuori forma e con un corpo al minimo, ormai stremato, ma nel 2010 supera Roberto Cherro e diventa primo nella storia per gol con il Boca, il massimo per un giocatore argentino così attaccato alla proprie radici. L'anno dopo infatti notevolmente affaticato e sfinito annuncia il ritiro, venendo però seguito da uno psicologo nell'anno della sua ultima stagione, il suo corpo era pronto a fermarsi ma il suo spirito no. Il 13 giugno 2011 giocherà la sua ultima partita contro il Banfield ed il video che segue renderà omaggio a quello che è stato, un popolo ai suoi piedi che omaggia chi ha fatto di tutto per questa maglia.
Le immagini appena viste sono un testamento, un concentrato di emozioni che non lascia indifferente chi a questo sport tiene e crede veramente, testimonianza di un qualcosa di trascendentale ma allo stesso tempo così percepibile, l'affetto verso il calcio come forma di comunicazione non verbale. Ogni volta che Martìn batteva le mani sul petto e sullo stemma che aveva cucito addosso esprimeva molto più di altre 10 frasi di amore di circostanza dette dal calciatore di turno, non legato veramente alla propria squadra come lo era lui. "Nessun posto è bello come la Bombonera", parola di Martìn Palermo.
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