Provenire da paesi nei quali il calcio non è considerato uno sport di prima fascia porta con se 2 tipi di conseguenze per un giocatore. La prima quella di non essere spesso considerato, anzi essere un'eccellenza in qualcosa ma venire trattato come tanti altri, meno famosi e meno bravi ma che praticano uno sport più popolare. La seconda ha invece dei risvolti positivi, perché se sei abbastanza bravo da poter sfondare in nazioni nelle quali il calcio è una delle cose più vicine ad un credo religioso, in patria verrai visto come l'uomo capace di elevare il proprio paese. Questo è un ragionamento applicabile alla carriera di Harry Kewell, un ragazzo che ha cercato di prendersi sulle spalle le sorti del calcio australiano a fine anni '90.
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Per riassumere brevemente ma in modo estremamente dettagliato e tragico il percorso di Kewell nel calcio basta dare uno sguardo al soprannome che gli venne dato già ad inizio carriera, "The Jewel". Il gioiello, per la sua tecnica sopraffina ma anche per la sua fragilità fisica, che ne ha irrimediabilmente compromesso la carriera. A soli 15 anni, dopo aver incantato con la maglia del suo liceo ed aver insegnato come si tiene una palla fra i piedi ad un popolo che di solito guarda il rugby, viene portato in Inghilterra dal Leeds, un club tornato proprio quest'anno in Premier League e che nel corso della sua storia ha scoperto molti talenti. Esordisce con i "pavoni" nel 1996 a soli 17 anni giocando principalmente da attaccante sinistro facendo reparto con un suo connazionale, Mark Viduca, coppia che raggiungerà il proprio apice nella stagione 2000-2001, quando con i loro compagni arriveranno sino alla semifinale di Champions League, salvo poi essere eliminati dal Valencia. Non molto prolifico ma molto bravo nel dribbling e nel servire i compagni (lui infatti prediligeva giocare sulla trequarti), gli anni al Leeds non furono caratterizzati da infortuni e questo permise a Kewell di esprimersi al meglio, pur essendo ancora giovanissimo, finendo nei taccuini di molti top club europei. Rappresentava l'opposto di ciò che ti insegnano in un paese come l'Australia, caratterizzata dalla foga tipica del rugby. Praticamente composto per il 70% da acqua e per il 30% da tempi di gioco, viveva il calcio ad una velocità così superiore da risultare paradossalmente lento agli occhi dei meno attenti, non consci che con una sua giocata ne aveva assimilate altre 10.
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L'occasione migliore per lasciare il Leeds fu la crisi finanziaria che colpì la squadra attualmente allenata dal "loco" Bielsa, infatti nel 2002-2003 il club fu costretto a mandare via i pezzi pregiati e retrocesse in First Division. Corteggiato da mezza Europa Harry finì a Liverpool, rilasciando dichiarazioni al veleno verso la sua vecchia squadra una volta firmato il suo nuovo contratto, ritenuta responsabile di aver gestito male i fondi, fatto acquisti sbagliati e non aver permesso ad un talento come lui di poter giocare in un contesto adeguato. Una volta arrivato ad Anfield però non poté praticamente mai giocare per un anno a causa di un infortunio, tornò nel 2004 e fu fondamentale per la vittoria della Champions League, anche se in quella pazza finale contro il Milan fu costretto ad uscire dopo mezz'ora a causa di un nuovo infortunio alla gamba. Accanto a gente del calibro di Steven Gerrard il talento australiano poteva esprimersi liberamente e con gente che pensava calcio al suo livello. Il suo corpo però non gli dava pace, anche se Rafa Benitez, ai tempi allenatore dei "Reds", disse che il vero problema di Harry era a livello mentale, si buttava giù facilmente e di questo ne risentiva anche il proprio corpo. Tra il 2006 e il 2007 non giocò praticamente mai, riuscendo comunque in una partita di campionato contro il Charlton ad impressionare ogni persona presente allo stadio o attaccata alla televisione, grazie ad una prestazione di una superiorità clamorosa, quasi paragonabile a quel quadro giottesco che è la partita di Ronaldinho contro il Chelsea nel 2005.
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Lasciato il Liverpool, che aveva praticamente perso ogni speranza riguardo la tenuta del ragazzo, troppo fragile per poter giocare a certi livelli, giocò al Galatasaray, in Arabia Saudita e a fine carriera tornò in patria. Tornato a casa però percepì una sensazione strana, negli anni nei quali era stato assente qualcosa era cambiato nella terra dei "kangaroos". Un ragazzo sbarbato partito quasi 20 anni prima per l'Europa era riuscito a far appassionare la propria gente al gioco del calcio, accolto come una star in ogni dove Harry capì di essere l'artefice di un qualcosa di veramente grande. Cercate pure su internet quale sia lo sportivo più famoso in Australia, probabilmente uscirà il nome di Ian Thorpe, leggenda del nuoto e personalità che per influenza è seconda solo al Primo Ministro. Provate poi a chiederlo a tanti ragazzi che giocano per strada nelle vie più disparate in città come Melbourne e Sidney, e se hanno veramente a cuore questo sport, faranno il nome di Harry Kewell, un gioiello tanto fragile quanto luminoso.
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