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Elgin Baylor: l'uomo oltre l'anello

Immagine del redattore: Eugeni MarcoEugeni Marco

"Nello sport a grandi livelli c'è sempre stata una tendenza: valutare la carriera di un giocatore in base a ciò che ha vinto [...] Nel corso della sua storia (della NBA) alcuni dei più grandi cestisti che ne hanno calcato i parquet non sono riusciti a vincere l'anello e questo per molti, appassionati e non, è un dato importante, che divide i campioni dalle leggende."


Questo piccolo estratto, ripreso dal primissimo articolo uscito su questo sito, descriveva perfettamente quanto nel mondo della pallacanestro oltreoceano la vittoria dell'anello non rappresenti solo il coronamento di una carriera e di un sogno, ma anche l'ottenimento di una sorta di status quo, uno step fondamentale per entrare nella storia di questo sport, una tappa fondamentale verso l'ottenimento della gloria perpetua.


Tale discorso ottiene ancor più rilevanza se prendiamo come esempio alcuni dei più grandi di sempre (Charles Barkley, Pete Maravich, Karl Malone o John Stockton, per citarne alcuni). Questi atleti, pur essendo stati protagonisti di carriere memorabili ed irripetibili, si porteranno sempre con loro il fardello di non essere mai riusciti ad essere i migliori, perché parliamoci chiaro, la storia in questo è terribilmente spietata: ai vincitori spetta la gloria, agli sconfitti l'oblio.


Nella leggendaria cavalcata di Michael Jordan verso i suoi 2 "three peat" le squadre cadute sotto i colpi dei suoi Bulls, specie alle Finals, hanno assunto in un certo senso quasi il ruolo dei "villains", l'ultimo e all'apparenza insormontabile ostacolo che divideva il numero 23 dal suo naturale destino. Nonostante ciò, il talento non svanisce con le sconfitte, e se i titoli possono arrivare o meno, le gesta, dentro e fuori dal campo, rimangono. Ed in questo un uomo si è distinto più di tutti, un atleta che con un gergo errato ma fortemente evocativo potremmo presentare come "il più grande perdente di sempre" Elgin Baylor.

Per i meno esperti Elgin Baylor può essere brevemente descritto come una delle primissime bandiere nella storia dei Lakers, franchigia che nel 1958, anno in cui venne scelto come prima scelta assoluta al draft, era situata a Minneapolis, e che solo dal 1960 troverà nuova casa in Los Angeles. Nei suoi 14 anni di permanenza nella NBA non è mai riuscito a dire addio ai giallo viola, per i quali ha lottato e sudato dal primo all'ultimo secondo. Testimonianza della sua impronta indelebile nella storia di questa franchigia è la statua a lui dedicata che dal 2018, come Caronte con i dannati, trasporta e vigila i destini dei giocatori che dovranno indossare quella che forse è la canotta più famosa nella storia della pallacanestro.


Considerato uno dei più grandi marcatori nella storia della NBA, non solo per quantità di punti segnati ma anche per la qualità di tutti i suoi canestri, per atletismo e capacità di muoversi è stato probabilmente l'ala piccola più innovativa nella storia di questo sport. Chi ha avuto la fortuna di giocare insieme a lui o di poterlo ammirare lo ha descritto come una delle prime superstar della storia e il prototipo del giocatore moderno, ma ha soprattutto parlato della grande integrità morale del leggendario numero 22. Sì, perché Elgin si è distinto anche in questo. Specialmente fra gli anni '50 e '60, non il periodo migliore per essere un afro-americano, Baylor fu un'attivista per i diritti civili e si impose come una delle figure più influenti del panorama sportivo americano.


Perché però, all'inizio dell'articolo, lo abbiamo grossolanamente descritto come "il più grande perdente di sempre"? Tale epiteto non assume assolutamente un'accezione negativa, ma esprime in poche parole e a 360° quello che è stato Elgin Baylor. Nell'arco di tutta la sua carriera ha disputato 8 finali, perdendole tutte, 7 delle quali contro i leggendari Boston Celtics di Bill Russell ed una contro i New York Knicks nel 1970. Prendendo ancora spunto dal nostro primissimo articolo "in altri casi invece è proprio nella sconfitta che viene forgiata la leggenda".


In questo il destino non sbaglia mai, e con Elgin ha scritto una delle sue pagine più particolari. Nel 1972, anno nel quale dopo 9 partite decise di ritirarsi a causa di un ormai insostenibile fastidio al ginocchio, i suoi Lakers riuscirono dopo una rincorsa ultra-decennale, della quale lui era stato assoluto protagonista, a vincere l'anello. Questa storia può essere letta come uno scherzo di cattivo gusto che la sorte ha voluto giocare a Baylor, oppure può essere inquadrata come l'ennesimo riprova che la dea del basket aveva già bene in mente il canovaccio della sua leggenda. La vincita di quel titolo avrebbe forse fatto perdere di magia la storia dell'ex numero 22, perché il non aver vinto ha potuto mettere maggiormente in risalto tutti gli altri aspetti della sua persona.


Non ha forse mai ricevuto il dovuto credito per ciò che è stato in grado di raggiungere in campo, ma spesso e volentieri nel grande scacchiere della vita e dello sport questo aspetto passa in secondo piano. Questo perché nonostante le numerose sconfitte Elgin rimarrà sempre un "grande" di questo sport, perché se altri cestisti prima e dopo di lui hanno avuto bisogno di quel famigerato anello per essere ricordati, lui no. I trofei riempiono le bacheche e le pagine di Wikipedia, ma in un mondo tanto passionale quanto pieno di epica come quello della pallacanestro, sono le storie che regalano l'immortalità.


Spesso quanto trasmesso vale più di quanto si è guadagnato, e questo forse nessun uomo è riuscito ad esprimerlo meglio di Elgin Baylor, l'uomo oltre l'anello.



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