Il risultato ha importanza, ma fino ad un certo punto. Perché Matteo Berrettini si è preso l'Italia prima che Wimbledon. Era dal 2018 che i tifosi di tennis, interessati e occasionali, non simpatizzavano così tanto per un atleta, da quel Marco Cecchinato che raggiunse le semifinali del Roland Garros facendo impazzire un paese intero. E nel giorno della finale degli Europei di calcio, in tanti hanno passato un lungo pomeriggio estivo davanti alla tv a seguire le gesta del tennista romano.
La vittoria al Queen's aveva dato buone sensazioni. A cambiare le carte in tavola sicuramente il successo su Andy Murray, che non sarà quello di qualche anno fa ma i tornei sull'erba li conosce bene e li sa giocare al meglio. Da quel punto in avanti, Berrettini ha iniziato a macinare turni, consapevolezza, forza e coraggio. Si è ritrovato con una coppa in mano ed ha capito che, forse forse, Wimbledon non sarebbe stato un sogno così irraggiungibile. E allora via uno, via due, via tre in scioltezza, fino ai quarti e alle semifinali dove un set l'ha dovuto lasciare ma si è preso l'intera posta in palio con Auger e Hurkacz.
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Non poteva esserci molta storia, però. Non con questo Novak Djokovic che ha deciso di affrontare il 2021 come fosse l'anno cruciale della sua carriera. Che aveva messo in fila un obiettivo ben preciso: vincere tutti gli Slam e portarsi a casa l'oro olimpico. E allora via gli Australian Open travolgendo Medvedev. Via il Roland Garros in rimonta su Tsitsipas. Proprio a Parigi, Berrettini l'aveva incrociato ed aveva patito con lui una sconfitta ai quarti di finale. 3-1 alla fine, come questa volta.
Djokovic ha sudato, tanto. Ha dovuto tirare fuori tutte le sue armi migliori per aver la meglio su questo 25enne italiano così potente e così travolgente. Perché Berrettini piace, non solo agli italiani ma ai tifosi di tutto il mondo. Piace per quel servizio sparato a 200 miglia l'ora, che rimandano alle fucilate dell'olandese Richard Krajicek - vincitore di Wimbledon nel 1996. Piace per il modo di giocare, a tratti eleganti e a tratti geniale, con intuizioni da grandissimo giocatore.
Ma si vede che a queste alture è arrivato da poco. In finale contro Djokovic hai due sole possibilità: giocare il tuo tennis e giocarlo pulito. Cosa significa? Significa sbagliare meno possibile, lavorare sui dettagli, aggredire i momenti no dell'avversario. Berrettini ha sbagliato tanto in tutti i set, ha lasciato contro la rete tanti smash e tanti rovesci. Si è fatto spesso ingolosire da un passante o da una diagonale facendoli finire o troppo lunghi o troppo larghi. Si è notata, contro il gigante serbo, tutta l'inesperienza di questi momenti. Inesperienza che magari con altri avversari si vede meno, ma con i fenomeni diventano luce sull'erb a.
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Eppure Berrettini ha fatto sudare questa finale. Andando sotto 1-4, rimontando sul 5-5 e chiudendo sul 7-6 nel primo set. Ha fatto sognare, per un po'. Anche quando, nel secondo set, è riemerso dal blackout dello 0-4 iniziale, portando Djokovic a tremare un'altra rimonta. Non c'è stata storia nel terzo set, anche se lì è stato bravo ancora una volta a ritornare in partita. Peccato per l'ultimo passaggio di una sfida bellissima, faticosa e piena di spunti. Peccato perché nel quarto set sul 3-1 ci ha creduto, ha assaporato l'odore di un possibile allungo. Niente da fare: la testa e l'esperienza contano. Djokovic lo sa e aggredendo Berrettini si è portato a casa il terzo slam del 2021.
Ma questo risultato rimane. La sconfitta? No, assolutamente. Rimane il percorso, quello che Berrettini ha imparato da ogni gara, e quello che gli ha insegnato Djokovic. Rimane la certezza che sull'erba ci si deve riprovare e che adesso servirà un po' di riposo per pensare agli Us Open e magari tentare qualche buon numero pure lì. Magari ritroverà proprio il serbo. E magari spezzerà il suo proposito di vincere tutto, da cannibale.
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