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Quanto manca Max Allegri

Immagine del redattore: Simone SpadaSimone Spada

L'uscita delle italiane dalla Champions ha dimostrato come il calcio nostrano sia popolato da allenatori dalla spiccata impronta nazionale. In campo europeo faticano ad adattarsi (e adattare) il proprio modo di intendere questo sport ad altre realtà, ad altre culture. Ma soprattutto alla mentalità che serve per vincere e passare i turni che dovrebbero riportare il nostro paese a contare di più. Invece a parte la Roma sono uscite tutte prematuramente.


Alla mente è tornato subito Massimiliano Allegri, noto Max. Un tecnico che ha compreso in fretta quale fosse la via migliore per unire forza nazionale e competitività internazionale. I risultati ottenuti sia a Milano che a Torino stanno lì a significare che di professionisti come lui ce ne sono pochi e vanno trattati col massimo riguardo. Anche perché dopo due anni di stop, adesso manca tremendamente ad una panchina italiana.


Lo ha confermato a Sky Calcio Club, dove è stato ospite domenica scorsa. Ripercorrendo quelli che per lui sono concetti semplici, elementari, ma che il calcio di oggi si è dimenticato di applicare. Concetti tanto cari a Spalletti, ad Ancelotti, a Capello, a Lippi. A tecnici che, insomma, qualcosa l'hanno vinta nella loro carriera e quello che non sono riusciti a vincere l'hanno accarezzato con coraggio.


Una delle critiche che si è portato dietro è stata la mancanza di bellezza nel suo modo di giocare. Una accusa un po' particolare per uno che ha avuto con sé Robinho, Ronaldinho, Ibrahimovic, Pirlo, Pogba, Tevez, Ronaldo. Per uno che adora i giocatori tecnici e che ha sempre fatto di tutto per esaltarli. Però è stato anche uno che, in molti frangenti, ha pensato tanto al pragmatismo, alla concretezza. Liberando i suoi ragazzi della necessità di giocare bene a tutti i costi.


Cosa conta di più per una squadra, vincere o convincere? Certo, il Barcellona di Guardiola e poi la Spagna di Del Bosque ci hanno insegnato che si possono ottenere entrambe le cose nello stesso momento. Ma sono momenti storici, quinquenni necessari. Poi, dopo, si torna all'abito grigio, come hanno spiegato Allegri e Di Canio: non passa mai di moda. Gioco semplice, preciso, concreto. Ci si difende, quando necessario; si attacca, quando necessario. Ma non si mette mai in discussione l'equilibrio tattico, neppure quando si gioca male.


Vincere è la sola cosa che conta. Perché da una vittoria dipendono le sorti di una società, i suoi conti, il suo futuro. Ma per farlo un allenatore deve adattare se stesso all'ambiente in cui lavora. Il Milan di Allegri era ben diverso dalla Juventus di Allegri. Ma in quel passaggio ha compiuto una evoluzione personale. Il Napoli di Sarri era ben diverso dalla Juventus di Sarri, ma qui si è avuta una delusione (e involuzione).


Ecco perché Max Allegri manca. Manca perché c'è bisogno di maggiore concretezza, di padronanza di una squadra, di una visione di lungo periodo su quelli che sono gli obiettivi di una società. Ci vuole pragmatismo e coerenza tattica. Ci vuole la necessità di tornare ad un calcio classico sì, elementare sì, ma che la spieghi ancora tutti. Sia a livello nazionale che internazionale.

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